La Corte di giustizia europea ha condannato ieri l’Italia per la violazione di tre direttive comunitarie sullo smaltimento dei rifiuti, sui rifiuti pericolosi e sull’autorizzazione e gestione delle discariche (direttive 75/442, 91/689 e 1999/31). La Corte ha dato ragione alla Commissione europea, che nel 2003 aveva aperto una procedura d’infrazione contro l’Italia per la presenza, sul suo territorio, di un alto numero di discariche abusive, o di siti contenenti rifiuti pericolosi non adeguatamente incontrollati, nonché di altri siti che, sebbene autorizzati, non garantiscono il riciclaggio o lo smaltimento dei rifiuti conformemente alle direttive Ue.
Per la Corte di Giustizia, la Repubblica italiana è venuta meno, «in modo generale e persistente», agli obblighi imposti dalle tre direttive. In particolare, non sono stati adottati tutti i provvedimenti necessari per garantire il rispetto dell’obbligo generale che lo smaltimento dei rifiuti avvenga senza pericolo per la salute umana e per l’ambiente, e gli adempimenti (per lo più amministrativi) per esigere che lo smaltitore sia un’impresa autorizzata e che i rifiuti pericolosi siano identificati, catalogati e posti sotto controllo.
La causa, iniziata nel 2005, si riferisce alla situazione esistente fino al 2003, e riporta i dati dei censimenti delle discariche condotti dal Corpo forestale dello Stato nel 1986, 1996 e 2002, più un rapporto successivo di verifica. In quest’ultima verifica, effettuata dopo il 2002, la stessa Forestale aveva ancora catalogato 4.866 discariche illegali, 1.765 delle quali non figuravano nei precedenti censimenti. Tra questi siti abusivi, 705 contenevano rifiuti pericolosi, mentre le discariche autorizzate erano soltanto 1.420.
Durante il procedimento iniziato dalla Commissione, il governo italiano ha ammesso l’esistenza sul suo territorio di almeno 700 discariche abusive contenenti rifiuti pericolosi, che non sono stati sottoposti ad alcuna misura di controllo. In questo caso, l’Italia ha violato l’obbligo comunitario di catalogare e identificare tutti i rifiuti pericolosi. Il governo, inoltre, ha segnalato esso stesso che 747 discariche avrebbero dovuto costituire oggetto di un piano di riassetto, che i piani sono stati presentati solo per 551 siti e che solo 131 sono stati approvati dalle autorità competenti, senza precisare quali azioni fossero state intraprese riguardo alle discariche «bocciate».
È lungo l’elenco di provvedimenti rispetto ai quali l’Italia è stata giudicata inadempiente. In particolare, il governo avrebbe dovuto: assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente; vietare l’abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti; imporre la regolare consegna dei rifiuti ad un raccoglitore privato o pubblico - o a un’impresa che effettua le operazioni di smaltimento o di recupero - autorizzato dall’autorità competente; garantire che i rifiuti pericolosi messi in discarica siano catalogati e identificati.
Inoltre, l’Italia non ha rispettato il programma comunitario per mettere tutte le discariche sotto il controllo dell’autorità pubblica, che riguardava i gestori dei siti di smaltimento in funzione nel luglio 2001. Questi ultimi avrebbero dovuto elaborare e presentare entro il luglio 2002 dei «piani di riassetto». In base a questi piani, le autorità competenti avrebbero dovuto decidere se autorizzare la continuazione dell’attività della discarica interessata, e se indicare, in questo caso, le misure correttive eventualmente ritenute necessarie. In caso di non autorizzazione del piano di riassetto, la discarica avrebbe dovuto cessare immediatamente di funzionare, a meno che le stesse autorità non avessero approvato un piano di transizione per la realizzazione dei lavori necessari a mettersi in regola.
Dopo la condanna della Corte, l’Italia ha l’obbligo di mettersi in regola. In caso contrario, la Commissione europea può chiedere una seconda condanna per inadempimento, assortita di pesantissime multe giornaliere commisurate alla gravità delle infrazioni e alla durata delle inadempienze. La Corte sostiene generalmente, in questi casi, la posizione della Commissione.
(
La Stampa, 28/04/2007)