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emissões de co2
2008-10-12
Prende il largo senza rumore, va a 8 nodi e non lascia scia. L’ultimo gioiello Ferretti Group è un tuffo nel futuro

L’ingegner Andrea Frabetti, blasonato progettista del gruppo Ferretti, è perplesso: non capita tutti i giorni che piovano giornaliste nella cabina motori della sua barca. Ma forse è stata l’emozione di provare, primi al mondo, questo nuovo gioiello nautico. O forse la scaletta era troppo ripida. Ma ci rialziamo in fretta. «Mi segua», dice burbero. E così andiamo dritti al cuore del Mochi Long Range, un 23 metri che promette una svolta nella storia della nautica. «Con questo — dice Frabetti, indicando una misteriosa scatola che rumina cifre —: un sistema unico al mondo che permette di andare con motore a scoppio, elettrico o entrambi. Col sistema ibrido, zero rumore e zero inquinamento. Scommettiamo che partiamo senza che lei se ne accorga?».

Preferiamo tenere alla larga gli spergiuri, specie in vista della sinistra scaletta d’acciaio, ma, una volta saliti sul ponte, ecco in lontananza i cantieri di La Spezia e, vicino, il forte militare di Marola: abbiamo lasciato il porto e non ce ne siamo accorti. «Il motore elettrico, lo "zero emission mode" — dice l’ingegnere — non dà il minimo disturbo». Unici rumori: onde e gabbiani. Sulla lounge di prua basta poco per sentirsi Jackie O’: prendisole in finta pelle, divanetti firmati Zuccon, cocktail. Una voce si insinua: «Venga con me». Ma non è un esotico armatore milionario: è Frabetti che vuol proseguire il tour.

«La nuova carena trans-planante Fer Wey — dice — garantisce un’efficienza idrodinamica superiore ad altre carene...». È il modo maschile di dire che questa barca rolla meno delle altre. Ma non rolla affatto: ti affacci all’ampia finestra a pelo d’acqua e ti appare il piccolo borgo di Cadimare, netto nei colori di fine estate, come lo vide Bonaparte quando venne qui e qui volle una fortezza militare. Poi ci voltiamo e, improvvisamente, Napoleoni, ingegneri e carene spariscono: su uno dei tre divani in pelle dell’ampio salone è seduto Daniel Day Lewis, ma questo è un dettaglio. La «dinette » in rovere, la cucina in quarzo/ resina, i cristalli dei ripiani e il tavolo in teak sono più interessanti. D’accordo, è un abbaglio, ma, di spalle, la chioma brizzolata del comandante in seconda, Riccardo Tebaldi, sembra quella di Day Lewis nel film di Martin Scorsese «L’età dell’innocenza». Ed è con la stessa galanteria scabra che si fa da parte: si scende nella zona notte. Ora, ci sono alcuni dettagli che, da soli, danno l’idea del valore di una barca: il rivestimento in ceramica nella doccia della cabina armatoriale; la rilegatura d’acero nel bagno della cabina ospiti; la lavatrice griffata nella utility room; e, soprattutto, l’improvvisa vaghezza dell’ufficio stampa alla domanda «quanto costa?». Con sagacia femminile, l’addetta stampa della Ferretti, Ilaria Mazzoni, dirotta il discorso sulla «tipologia speciale di cliente, amante del lusso, ma eticamente responsabile, tipo Clooney...». Al diavolo la prevedibilità: per una frazione di secondo eccoci avvinte a George, mentre il finestrone ci restituisce i bagliori di una burrasca notturna e, lontana, giunge una voce: «Sul ponte!».

Non è una voce lontana, è quella, venata di romagnolo, del comandante Massimo Papini, che ci invita a salire. Eccoci nella cabina di comando, dove l’ingegner Frabetti si è installato al timone. «Ha presente una gigantesca batteria di cellulare?», chiede e, al nostro educato imbarazzo, ride: «Più o meno, il motore funziona così: oltre due tonnellate di batterie agli ioni di litio che si ricaricano in fretta, in modo economico e senza emettere un grammo di anidride carbonica. E poi, vede là fuori? Il Long Range non lascia nemmeno la scia». È vero: stiamo procedendo a sette nodi circa, costeggiando l’insenatura di Fezzano, sovrastati dall’imponente basilica settecentesca di san Giovanni e all’ecosistema non arrechiamo più disturbo di quanto potessero fare le bracciate di lord Byron, che qui veniva a farsi la sua nuotatina quotidiana.

Barche come questa piacciono a quelli che possono permettersi il lusso di «un’etica ecologicamente responsabile», come dice Norberto Ferretti, presidente del gruppo. Matteo Marzotto, per esempio, è un fedelissimo delle barche Mochi. Ma ci sono anche quelli che si concedono colpi di testa, come Giorgia Manzini, libera professionista che un giorno, passeggiando in cantiere, vide un «Dolphin» (barca impertinente e coloratissima) e disse: «La voglio, qualunque cosa sia». Solo dopo le hanno spiegato che doveva prendere la patente nautica, il posto barca eccetera. E così, accarezzando l’acqua con la delicatezza di un delfino, stiamo arrivando all’isola della Palmaria, il grigio ferro delle rocce che sfuma in un tenue ceruleo e, da lontano, le pennellate rosso, rosa e blu del borgo di Porto Venere. Come una fantasia di Monet, questa bellezza luminosa ci zittisce, finché anche il burbero Frabetti diventa lirico: «Sa — dice, fissando l’orizzonte — ho sempre sognato una cosa». Quel che ha sempre sognato l’ingegnere il mondo non lo saprà mai: la plancia di comando, infatti, che fino a questo momento non ha mai parlato, sibila: «Bzz, Bzz». La ciurma si fa attenta, è un avviso ai naviganti: «Attenzione — gracchia la radio di bordo — esercitazione militare... tenersi alla larga». Come tirate da un filo invisibile, in contemporanea cinque teste si voltano a sinistra: l’isola di Tino, dove i militari di stanza a Spezia vanno ad «allenarsi». Così, mentre dieci occhi si spalancano in un muto urlo di Munch e persino il fantasma del poeta Shelley (che qui vicino morì affogato) sembra riaffiorare sgomento dalle acque, con spregio del periglio Frabetti si autonomina comandante in campo e prende il timone.

Si cambia musica. Come obbedendo ad un ordine non solo meccanico, la barca si scalda, ringhia, sbuffa: si cambia motore e si va a diesel. «Ora guardi — dice il neo comandante, azionando una seconda manopola — prendiamo velocità in meno di qualche secondo». Accostiamo, rotta verso Lerici, due nodi, tre, quattro. Quello che sembrava un delfino ora diventa uno squalo saettante. A tutta barra, riprendiamo la rotta, dritti verso il porto. Lontani dalla barriera militare, possiam o rallentare. E il Long Range 23 torna ad essere un lussuoso palazzo galleggiante. «Non solo — dice Frabetti — grazie al diesel adesso ricarichiamo le batterie. È una grande barca. Ma ci abbiamo lavorato per anni. Sa, il ruolo degli ingegneri a volte è bizzarro. Per esempio, nel Titanic... ». Aiuto.

(Corriere Della Sera, 11/10/2008)

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